Risorse ambientali

La nostra cittadina possiede BENI AMBIENTALI che nessun altro paese della Valle Caudina può vantare. Il  patrimonio artistico è rilevante. Per dimostrare ciò basta solo la descrizione di due dei numerosi palazzi gentilizi presenti nel nostro paese. Le immagini che il visitatore coglie andando verso Paolisi sono molteplici, s'intrecciano tra loro in un denso groviglio di memorie storiche e di fatti specifici, ma la più immediata a percepirsi è quella fisica. I monti che circondano il paese, sono quelli dell'appennino campano, alle cui falde si è disposto attraverso i secoli tutto l'assetto urbano di Paolisi. In questo contesto, si conservano ancora in maniera abbastanza evidente le interessanti connotazioni originarie, anche se violentate piu volte da terremoti ed altre calamità.
Il tessuto edilizio si è mantenuto sempre compatto, specialmente con le caratteristiche sei-settecentesche anche ragguardevoli, ma generalmente in stato di notevole decadimento oppure sottoposto a gravi monomissioni. La prima immagine urbana è quella di un paese densamente costruito, proteso lungo le pendici delle fasce collinari e la confluenza trasversale del torrente Faenza e Tesa, che danno vita più a valle al fiume Isclero. 
L'edificazione prosegue poi, lungo la fascia pianeggiante dove sono localizzate le espansioni più recenti, in prosecuzione del nucleo del centro storico proiettato lungo l'asse viario dell'antica Appia. In effetti, la cittadina è formata da tre rioni ben distinti morfologicamente e storicamente. Il centro storico è il settore più caratteristico, con ampie zone di sovrapposizioni post-settecentesche, frutto delle imponenti opere di ricostrzione seguite ai disastrosi terremoti.  Il decumanus maximus ha pressapoco l'andamento dell'attuale corso. Il tessuto viario ed edilizio si articola anche con i numerosi quartieri che vanno sorgendo. I tipi edilizi, in questo sito, hanno caratteristiche seriali e si aggregano in isolati a schiera e di conformazione irregolare.
L'insediamento settecentesco, dovuto alla ricostruzione, dopo i terremoti del 2688 e del 1702, cosolida tutta la parte abitativa collinare e più elevata del nostro paese. Lungo questi assi viari e nelle loro adiacenze, si realizzarono numerose emergenze architettoniche, palazzi, chiese, che costellarono il tessuto urbano, dando luogo a molteplici punti di convergenza formale e funzionale. 
Formanrono così degli "ambiti locali" di notevole interesse, degli spazi singolari destinati a persistere integrandosi e sovrapponendosi alla omogenea generalità degli elementi seriali abitativi.
L'insediamento ottocentesco rafforza sempre più, anche con imponenti sventramenti, la funzione primaria dell'asse longitdinale, divenuto via Roma.  Qui avviene la concentrazione di tutte le principali attrezzature direzionali e commerciali, con conseguente rapido decadimento delle aree retrostanti. Tale funzione del corso viene esaltata anche dalla realizzazione di unità edilizie di notevoli dimensioni. Ciò nonostante è possibile una lettura del tessuto urbano più antico specie se condotta per settori morfologicamente omogenei che consentono l'individuazione di parti che conservano una certa unitarietà. 
Lungo la via Roma, intensamente urbanizzata, non troviamo più le originarie edificazioni, ma prospettano su questo asse viario, palazzi costruiti a partire del XVI secolo in poi.
Questo asse, è dominato dalla graziosa vista prospettica del palazzzo Tirone oggi di proprietà Fuccio. La sua impostazione architetonica, che oscilla tra lo stile neoclassico e lo Stile Liberty, in buona parte è andata perduta a causa dei rifacimenti dovuti agli eventi sismici del 1980. Il palazzzo, anche se svisato nella parte alta della cornice di gronda, resta, per le rimanenti parti, il prototipo delle abitazioni neoclassiche in Paolisi.  La lkinearità architettonica, caratterizzata in tutta la sua lunghezzza dallo spartito armonico e simmetrico dei piani, entro i quali prendono vita i vani balconi, coperti di cornice e da timpani triangolari aggettati, di grande effetto decorativo. Una volta era bello vedere la purezza architettonica di questo complesso, che traspariva attraverso l'impianto dell'edificio sia esterno che interno. Oggi, la vista si può appagare visionando e leggendo quelle poche parti dell'originale partizione del prospetto, diviso in settori binati sia dei piani che delle aperture. Il prospetto è suddiviso in cinque scomparti, quelli laterali, racchiusi in semplici paraste listate, nel cui centro si apre un vano balcone semplice, sovrastato da un timpano triangolare. 
La parte inferiore, si caratterizza da vani luce in forma rettangolare che danno vita a piani terranei. Il settore pi largo del prospetto, contiene due vani luce, binati da una sola balconata.
Il ricco e armonioso prospetto centrale, completa ed unisce le parti ad esso simmetriche. L'elegante balcone della parte mediana è sormontato da un timpano triangolare, il tutto racchiuso in paraste doppie, ornate nella parte centrale da tralci e fiori lavorati a stucco. Un elegante portale ad arco a tutto sesto è racchiuso tra grosse paraste listate doppie.
La tradizione vuole, che per la presenza nella zona dell'arte Vanvitelliana. questo palazzo abbia subito l'influsso di quello 
stile. In questo contesto, più che i singoli motivi vanvitelliani, va sottolineata una accurata ricerca di impaginazione del prospetto,
per la visione frontale e per l'intelaiatur deipiani, ove gli spazi 
vengono scanditi con un certo rigore. Al di là del valore storico artistico del complesso, va sottolineato quello della posizione,
ascrivibile alla creatività urbanistica che si andava sviluppando lungo l'asse viario nel XVIII secolo. 
L'androne rettangolare, che domina la parte inferiore con la sua eleganza e la dua austerità è diviso in tre parti da una susccessione di archi e da tre volte a vela. Questo, costituisce l'unico pezzo che si è salvato dalle furie devastatrici. Superato il lungo androne, ci si trova all'improvviso nello spazio del cortile. Un tempo, la parte superiore dei due fonti era tutta decorata con pitture di stile liberty e sfondi pompeani. Oggi, di quel fastoso cortile, restano alcune parti del loggiato a colonne scanalate sormontate da capitelli ionici e le tracce di un fregio decorativo periplo. Sulla sinistra della parte terminale dell'androne, si apre l'invito della scala principale. Anche in questa, di quello che fu il fasto e l'eleganza, dell'unica rampa resta ben poco, tutto è stato manomesso e alterato, come manomessi e alterati sono stati i piani nobili, ricchi di motivi decorativi e di zone affrescate. Queste testimonianze sono andate barbaramente distrutte. La storia di questo edificio, come si può ben cinstatare, risulta strettamente legata a quella delle famiglie che nei secoli lo hanno posseduto rendendolo funzionale, decoroso e bello.
Il palazzo che si trova nella zona chiamata fuori le torri, è il complesso edilizio che più si identifica nell'immagine della cittadina di Paolisi, per aver vissuto, da testimone o protagonista, le tappe più importanti della sua storia, legate alle varie stratificazioni storiche.
E alle principali vicende della famiglia De Mauro, che costrui la dimora, dalla quale esercitò il potere, sino al suo trasferimento nella città di Napoli e alla dipartita dell'ultimo rampollo. 
In tempi più recenti, a causa del frazionamento fondiario il palazzo è stato acquistato ed è abitato da più nuclei familiari.
Il complesso architettonico dei signori De Mauro, venne edificato intorno al secolo XVII per assicirare alla famiglia nobile una decorosa simora e per esercitare il controllo sui poderi che gravitavano nel circondario.
Inizialmente, l'edificio venne utilizzato esclusivamente a servizio dei fondi rustici, apartire dalla seconda metà del XVIII secolo, si iniziò ad utilizzarlo come espressione della residenza signorile, ampliandolo e sistemandolo definitivamente lungo l'asse viario di questa amena cittadina.
Al cortile interno si accede dall'androne rettangolare, coperto da una volta, che ci introduce mediante un piano di calpestìo tutto lastricato in pietra da taglio, nel vasto cortile, ove gli faceva da sfondo, un magnifico arco in pietra travertina. Dalle strutture rimaste, si evince che tutto il perimetro del cortile era adorno da una successione di archi che richiamano alla mente le case a corte della cultura caudina. Qui tutto si armonizzava, scale coperte ed archi, pittoreschi loggiati che immettevano da un capo all'altro del palazzo nei vari ambienti interni.  Sulla destra del cortile si apre un articolato vano scala, che sull'invito delle ultime e comodissime rampe, offriva in visione prospettica i due lunghi loggiatie gli inviti agli appartamenti nobili.
Oggi, questa suggestiva prospettiva architettonica la si può leggere lungo il loggiato posto alla sinistra della scala. La sua scarna architettura rustica nonostante la scarsa tutela, appare in tutta l'austera bellezza, e offre una visione meravigliosa sul giardino curtense spaziando sino alle propaggini del Taburno.
All'angolo, posto a sinistra del cortile, nonostante lo stato di abbandono, fa spicco un magnifico pozzo provvisto di cappa. Si eleva da una cordolatura marcata, e segue l'andamento circolare della cappa.
Quest'ultima è interrotta nei quattro punti diametrali da sostegni in pietra lavorati a piccole volute e sostengono tutta la cordolatura sagomata del pozzo, dalla quale si innalzano i congegni dalla carrucola.
Il palazzo, lungo l'asse viario di via Roma, si sviluppa per una lunghezza di circa ottanta metri. Sulla sinistra del prospetto, trova dimora una chiesetta padronale, costruita circa dieci anni dopo il completamento del palazzo.  Come si evince dalla scritta posta sull'architrave della porta d'ingresso, questo sacro luogo, non possedeva il beneficio del diritto di asilo. L'interno a nave unica, con un arco trionfale posto all'inizio dell'asbide, nel cui centro fa spicco una bella statua della Madonna delle Grazie, la cui  festa viene celebrata il 27 luglio di ogni anno. 
Completa la conca absidale un decoroso altare neoclassico che ben si armonizza con tutto l'interno, pacato, mistico e raccolto. Nella parte superiore del prospetto, si aprono tre vani luce che si completano con tutto il resto del palazzo.
Alla sommità del fronte della chiesa, si innalza un piccolo campanile alla capuccina. Il complesso architettonico del palazzo, nella parte inferiore è articolato da vani terranei il cui ingresso è costituito da archi di pietra scalpellati. Nella parte alta, si rincorrono otto finestre con davanzali in pietra scalpellata e sagomati ed entrano in quella configurazione architettonica propria del secolo XVIII.
Il complesso signorile dei De Mauro, nella parte mediana è dominato da un arco a sesto ribassato, chiuso al centro da una chiave a cuneo tutta lavorata a rilievo. Sul fronte della chiave dell'arco spiccano i simboli dello stemma araldico. Si rilevano due leoni rampanti che reggono una stella a guisa di sole, mentre alla sommità dello scudo, una corona principesca completa la composizione. Il modellato dello stemma araldico si presenta ben definito e si rileva ina pregevole fattura. Il portale d'ingresso, visto nella sua globalità, ci introduce senza esitazione in uno scorcio prospettico dove fa spicco il giardino curtense e il colosso montuoso del Taburno. 
Che dire poi del rifugio di S: BERARDO? Esso costituisce la meta dei paolisani. Non esistono fonti storiche su S.Berardo. Anzi non si è neppure certi della sua esistenza.
Una cosa, però, è certa e sulla quale non si può dubitare. Un tempo, sulla montagna, esisteva un eremo; ancora oggi,  si possono ammirare le vestigia di una costruzione imponente, massiccia.
L'eremo fu abitato da S.Berardo o da altri? Non ha importanza; però, la tradizione popolare, che è la "vera storia", afferma che in quell'eremo, in contemplazione, e a diretto contatto con Dio, visse un eremita, santo, di nome Berardo. A testimonianza della veridicità di tale tradizione è il culto di S.Berardo. La fontana in pietra reca la data 1767.
E' in gravo degrado, ma pulita e ripristinata " rinfrescherebbe" ancora di più gli escursionisti, che per ora possono godersi il rifugio, costruito in epoca recentissima, in prossimità dell'antico eremo.
 
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